Le aggressioni al personale sanitario
Quali responsabilità ha il datore di lavoro?
Le aggressioni sul luogo di lavoro sono purtroppo un fenomeno sempre più diffuso, intendendo con aggressione non soltanto la violenza fisica ma anche l’attacco di tipo verbale. I lavoratori più a rischio sono quelli che operano a stretto contatto con il pubblico e, tra questi, il personale sanitario rappresenta senza dubbio una delle categorie più esposte, come confermano numerosi studi pubblicati sul tema.
Con l’aumentare delle aggressioni sul lavoro aumenta sicuramente l’attenzione sulle misure di sicurezza che un’azienda deve mettere in atto per salvaguardare i propri dipendenti. Proprio questo aspetto chiama in causa il ruolo del datore di lavoro, sulle cui responsabilità, disciplinate dalla 81/08, diversi pronunciamenti della Corte di Cassazione hanno fornito maggiore chiarezza.
Le aggressioni al personale sanitario
Le aggressioni sul luogo di lavoro coinvolgono tutti i lavoratori la cui attività viene svolta a contatto con l’utenza esterna. Gli autisti di autobus, i dipendenti di banca o gli insegnanti sono solo alcuni degli esempi che si potrebbero citare, ma senza dubbio una delle categorie più esposte al rischio è rappresentata dal personale sanitario.
L’Ordine dei Medici, nel settembre del 2018, ha rilasciato al proposito dei dati quanto mai allarmanti:
50%
La percentuale di operatori sanitari che ha subito aggressioni verbali
4%
La percentuale di operatori sanitari vittima di violenza fisica
Tale situazione ha spinto in passato FP CGIL ad intraprendere una campagna “Stop! Alle aggressioni al personale sanitario”, finalizzata alla sensibilizzazione del tema soprattutto tra le aziende. Nel vademecum, che indicava ai lavoratori anche come comportarsi in caso di aggressione, erano riportate numerose informazioni che offrono un quadro estremamente dettagliato del problema.
Dai dati citati da FP CGIL si legge come la violenza venga perpetrata soprattutto nella fascia oraria serale/notturna, all’interno di luoghi di lavoro come:
Pronto soccorso
456 aggressioni nel 2017
Reparti di degenza
400 aggressioni nel 2017
Ambulatori
320 aggressioni nel 2017
Qui le aggressioni subite dal personale sanitario si presentano in modi diversi:
- 60% minacce;
- 20% percosse;
- 10% violenza a mano armata;
- 10% vandalismo.
Inoltre le violenze non vengono messe in atto soltanto dai pazienti (49%), ma anche dai loro familiari e parenti (41%).
Le conseguenze delle aggressioni sul luogo di lavoro non sono mai limitate e coinvolgono il personale e le aziende nel loro complesso. Infatti, i lavoratori coinvolti subiscono un trauma psico-fisico, con ripercussioni evidenti in termini di stress e di riduzione del benessere. Le aziende, invece, fanno i conti con un significativo danno economico.
Tra il 2014 e il 2017, le giornate di lavoro perse sono quasi triplicate, passando da 1.522 giorni di prognosi a 3.783, con un danno economico pari a 30 milioni di euro.
Le responsabilità del datore di lavoro
I dati confermano, dunque, quanto il fenomeno delle aggressioni sul luogo di lavoro sia sempre più diffuso e non limitato ad episodi isolati. Si tratta di capire, a questo punto, quali siano le effettive responsabilità del datore di lavoro quando un proprio dipendente rimane vittima di un atto violento da parte di un soggetto esterno all’azienda.
Come è ben noto, nel campo dell’health&safety le attività del datore di lavoro sono già disciplinate dal Testo unico sulla salute e sicurezza 81/08. Il datore di lavoro, in altre parole, deve creare le condizioni, attraverso l’attuazione di misure concrete, affinché i propri dipendenti possano operare nel modo più sicuro e salutare possibile.
Cosa accade, però, quando il rischio di aggressione proviene dall’esterno?
Con una recente pronuncia, la Corte di Cassazione (n. 14556/17) ha indicato in modo più netto e chiaro sia le responsabilità del lavoratore che quelle del datore di lavoro.
Un infermiere, che aveva subito un’aggressione presso il Pronto soccorso dell’azienda di appartenenza, aveva richiesto al proprio datore di lavoro il risarcimento del danno biologico, morale, professionale e patrimoniale.
Dopo che il Tribunale e la Corte d’appello si erano rifiutati di accogliere la domanda del lavoratore, la Corte di Cassazione ha chiarito che:
«
al lavoratore che subisce un danno alla salute spetta l’onere di provare l’esistenza di tale danno, come pure la nocività dell’ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l’uno e l’altro elemento
«
il datore di lavoro, invece, una volta che il lavoratore abbia provato le predette circostanze, deve provare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, ovvero di aver adottato tutte le cautele necessarie per impedire il verificarsi del danno medesimo (Cass. n. 3788 del 2009, n. 2209 del 2016)
Questo significa che, per non essere considerato responsabile, il datore di lavoro di un’azienda deve mettere in atto tutte le misure di sicurezza necessarie per salvaguardare la salute dei propri dipendenti, garantendo loro una formazione idonea per poter affrontare al meglio il potenziale rischio di aggressioni.
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